Castignano è uno dei tanti paesi del Piceno, belli senza pretesa, ricchi di storie sconosciute ma gloriose, silenziosi e appartati, custodi gelosi di tradizioni secolari e scrigni spesso inconsapevoli di arte, per nulla minore.
Se ne stanno appollaiati su interminabili dolci verdi colline che si affacciano sulle valli che dai Sibillini corrono parallele verso il mare, solcate da piccoli corsi d’acqua, che fanno un po’ di voce grossa solo d’inverno.
Se si segue la marcata linea dell’orizzonte si possono contare uno ad uno i vari agglomerati urbani, con i loro profili netti, i campanili delle chiese e dei municipi che rompono la fuga dei tetti e il verde spezzettato della campagna coltivata tutt’intorno.
Le case sono costruite con i mattoni di argilla rossastra, presente in abbondanza nel territorio, un’argilla che, se lavata troppo dalla pioggia, crea nel tempo il caratteristico paesaggio calanghifero, aspro e selvaggio, simile a dorsi segmentati di draghi dormienti.
I paramenti murari delle case sembrano quadri d’autore, con i mattoni leggermente aggettati sulla malta e le linee parallele che rompono l’uniformità delle pareti.
Per qualche civettuolo abbellimento di balconi si è chiesto aiuto al travertino ascolano, bianco e poroso quanto basta, lontano dagli eccessi gloriosi del marmo ma vicino alla poesia.
I colori delle case cambiano con lo scorrere delle ore del giorno, fino ad arrivare ad esplodere di fuoco al tramonto, per acquietarsi nel marrone scuro della notte quando la luce cade dai lampioni e disegna spigoli perfetti, quadrati di giallo fra le case.
Particolare è la forma urbanistica dei paesi piceni, nati dall’incastellamento operatosi attorno al Mille. Si sono raggruppati sulle colline con agglomerati a “fuso di acropoli”, oppure “radiocentrici”, badando bene a porre al centro gli elementi più qualificati ed amati, la chiesa ed il municipio, e poi, tutt’intorno, come tanti gusci concentrici, le vie più o meno circolari su cui si affacciano le case rigorosamente unite e obbedienti alla configurazione orografica del terreno.
Anche Castignano è un paese arroccato su una collina, anche se oggi la sua collina si presenta tagliata di netto, mangiata da drammatiche secolari erosioni, dimezzata da forti terremoti, con le case sommitali a strapiombo verso sud, affacciate su una rupe che da le vertigini.
Il problema è che quella parte del paese era situata su cretoni e terre che lamano e camminano. Già dalla fine dell’Ottocento si cercò di sostenere “la rupe” e negli anni venti-trenta del Novecento i nostri padri hanno costruito un imponente muraglione di tredici arcate: sembrano mani giganti che stanno lì a reggere il paese.
Questa rupe muragliata è diventata ormai il simbolo di Castignano, la sua cartolina di presentazione.
Dalla parte verso nord il paese mostra invece tutta la sua compattezza, racchiuso dentro l’antico tracciato delle mura medievali che, seppur abbattute in buona parte, hanno comunque marcato l’urbanistica paesana.
Visto da questa parte il paese è raccolto sotto l’alto campanile della chiesa di S. Pietro, che con la sua alta cuspide appare come un obelisco protettivo e sacrale. Oggi la chiesa appare isolata nella grande piazza superiore e navigante nello spazio vuoto. Una volta gli faceva compagnia un poderoso complesso edilizio (*lo Stabilimento”) eliminato dal terremoto del 1943. Rimane quel vuoto che sa di infinito, battuto dai venti del nord. Nella mia infanzia questa piazza è stata lo spazio del mio piccolo mondo familiare.
Credo che tutti ci siamo posti, almeno una volta, il significato del nome Castignano.
Si sono fatte le ipotesi più disparate: dal leggendario fondatore trovato nel console romano Castinio, alla presunta quanto fantasiosa castità dei suoi abitanti, fino alla più popolare e più gettonata opinione che derivi dalla pianta del castagno, opinione avallata dallo stemma comunale che “parla* attraverso la raffigurazione di un castagno posto sopra alcuni monti (tre nell’antichità, cambiati successivamente in cinque).
Personalmente però credo che il suffisso “ano” rimandi alla realtà “prediale”, cioè ad un possedimento terriero di epoca romana (“praedium”), ad un latifondo venutosi a creare a seguito della centuriazione operatasi alla fine del periodo repubblicano (Pompeo, Cesare) e all’inizio di quello imperiale.
Allora si diede origine a tutta una serie di interventi volti alla messa a coltura, sistemazione e distribuzione dell’intero territorio piceno.
Si creò un processo che portò a rendere agricoli ampi settori di questa estrema valle del Tesino, che, essendo assai stretta e priva di uno sbocco di valico, deve a queste sue caratteristiche la forte penalizzazione in fatto di insediamenti antichi (PAC1, 2000.8).
E vennero a crearsi tanti e variegati appezzamenti di terreni coltivati (una “centuria” equivaleva a 2500 ma, cioè un territorio capace di essere lavorato in un giorno da un uomo con l’aiuto di un animale) che, nel corso dei decenni, furono man mano assorbiti da possessori più capaci (o più rapaci) Ano d dare inizio a vasti latifondi terrieri. Cosi, ad esempio, il nome di Castignano deriverebbe dal latifondo prediale di Castinius, come Cossignano o Appignano deriverebbero dai latifondi prediali di Cossinius e di Appinius e così via, come anche altri più piccoli territori agricoli che hanno dato il nome alle attuali contrade rurali del paese, come Rufiano (da Rufus) a nord verso Montedinove, o Rovecciano, ad est verso Offida.
Il territorio paesano infatti ha restituito abbondanti reperti (compreso un consistente materiale in laterizio fornito da fornaci del territorio e recanti bolli del luogo; BASSANTI 2000) dispersi nell’intera area, piuttosto che concentrati in un unico sito abitativo, proprio a testimonianza di una presenza romana diffusa su un vasto territorio agricolo diversamente abitato: anfore, vasetti, tombe a cappuccina, tegole, embrici, frammenti di ceramica a vernice nera e sigillata, ed altro ancora (Archeopiceno 1993-1994 e numero speciale marzo-giugno 2000).
Naturalmente si rimane nel campo dell’ipotesi e mi sembra quanto mai saggia l’affermazione del De Carolis: “Meglio è di lasciare nell’incerto la origine di questa Terra, che dar peso ad alcuna delle recate opinioni” (DE CAROLIS, 11, nota).
Tratto da “LE CHIESE DI CASTIGNANO”, di Don Vincenzo Catani